LA CORTE D'APPELLO 
 
    Ha deliberato di emettere la presente  ordinanza  a  scioglimento
della riserva formulata all'esito dell'odierna udienza  camerale  nel
procedimento  iscritto  al  n.  5/2003  del  ruolo   generale   della
volontaria giurisdizione ed avente ad oggetto il reclamo proposto, ai
sensi dell'art. 119 1.f., con ricorso depositato il 13 gennaio  2003,
da l'avv. Antonella Cangiano, nata a Benevento il 5  giugno  1954  ed
elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Chiaia n.  216,  presso
lo studio dell'avv. Angelo Peluso, che la rappresenta  e  difende  in
virtu' di procura speciale e nomina a margine di detto ricorso; 
    Nei confronti di Angelo  Giaquinto,  nato  a  San  Gennarello  di
Ottaviano il 1° dicembre 1946, e della Arredamenti Duegi di Giaquinto
Angelo S.a.s., in  persona  del  suo  legale  rappresentante,  Angelo
Giaquinto, domiciliati in Ottaviano, alla via Cortile Vitoni n.  6  -
nonche' de il fallimento della Arredamenti Duegi di Giaquinto  Angelo
S.a.s. nonche' di Giaquinto Angelo, in  persona  del  Curatore,  rag.
Rosario Chirico, domiciliato in Napoli,  alla  via  San  Giacomo  dei
Capri 109, avverso  il  decreto  di  chiusura  dei  fallimenti  della
Arredamenti Duegi di Giaquinto Angelo S.a.s. e  di  Giaquinto  Angelo
emesso, ai sensi dell'art. 118, n. 2, l.f., dal Tribunale di Nola  in
data 20 novembre - 10 dicembre 2002. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. - Con ordinanza  in  data  1°-10  aprile  2003,  questa  Corte
ordino'  la  sospensione  del  procedimento  introdotto  dal  reclamo
indicato in epigrafe e la rimessione dei  relativi  atti  alla  Corte
costituzionale, ritenendo rilevante nella specie e non manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale, per  contrasto
con gli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 119, secondo
comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare),  nel
testo allora vigente, nella parte in cui prevedeva che il termine  di
quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto  di  chiusura
del  fallimento  decorresse,  per  i  soggetti  legittimati  a   tale
impugnazione agevolmente identificabili sulla base degli  atti  della
procedura fallimentare, dalla data dell'affissione alla porta esterna
del tribunale, anziche' dalla data della comunicazione  dell'estratto
del medesimo decreto che a tali  soggetti  doveva  essere  inviata  a
norma del comb. disp. degli articoli 119,  secondo  comma  2,  e  17,
comma 1, l.f. e 136 c.p.c., per i seguenti motivi: 
        «Il reclamo in esame  risulta  proposto  dall'avv.  Antonella
Cangiano - titolare di un credito prededucibile liquidato dal Giudice
delegato, ma non integralmente soddisfatto  prima  che  la  procedura
fallimentare nei  confronti  della  Arredamenti  Duegi  di  Giaquinto
Angelo S.a.s. e di Giaquinto Angelo fosse chiusa ai  sensi  dell'art.
118, n. 2 l.f. e, dunque, certamente legittimata a proporre  siffatta
impugnazione -  il  13  gennaio  2003  mediante  il  deposito   nella
cancelleria di questa Corte del relativo ricorso, allorche' era  gia'
scaduto il termine di quindici giorni previsto dall'art.  119,  comma
2, l.f.  per  la   sua   proposizione,   che   decorre   dalla   data
dell'affissione per estratto alla porta  esterna  del  tribunale  del
decreto di chiusura del fallimento;  affissione  che,  nella  specie,
risulta eseguita il 13 dicembre 2002. 
    Andrebbe, pertanto, dichiarato inammissibile poiche' tardivo. 
    Tuttavia, questa Corte sospetta che l'art. 119,  comma  2,  l.f.,
nella parte in  cui  fa  decorrere  dalla  data  dell'affissione  per
estratto alla porta esterna del tribunale del decreto di chiusura del
fallimento il termine di quindici giorni previsto per la proposizione
del reclamo avverso il decreto medesimo,  non  sia  rispettoso  degli
articoli 3 e 24, comma 2, Cost. 
    Vero e' che la Corte costituzionale, con la sentenza 27  novembre
1980, n. 153, ha gia' giudicato  tale  previsione  normativa  non  in
contrasto con l'art. 24, secondo comma Cost.,  poiche'  giustificata:
a) dalla difficolta' di identificare coloro  che  hanno  interesse  a
proporre reclamo contro il decreto di  chiusura  del  fallimento;  b)
dall'esigenza di assicurare un'unitaria trattazione  e  decisione  di
tutti i reclami eventualmente proposti; c) dalla possibilita' per chi
si ritenga pregiudicato dalla chiusura del  fallimento  disposta  per
insufficienza di attivo di chiederne la riapertura ai sensi dell'art.
121, legge fallimentare. 
    Ma siffatta conclusione, a maggior ragione  se  riguardata  anche
alla stregua dell'art. 3 Cost., non appare convincente  e,  comunque,
adeguata  alle   piu'   recenti   pronunce   della   medesima   Corte
costituzionale in ordine alle forme di propalazione degli  atti -  e,
in particolare, di quelli aventi natura  decisoria -  previsti  dalla
legge fallimentare (v. sentt.: 12 novembre 1974, n. 255; 27  novembre
1980, numeri 151 e 152; 2 dicembre 1980, n. 155; 19 novembre 1985, n.
303; 24 marzo 1986, n. 55; 22 aprile 1986, n. 102; 27 giugno 1986, n.
156; 16 luglio 1987, n. 273; 26 luglio 1988, n. 881), giacche': 
        1) la  difficolta'  di  identificare  i  soggetti  che  hanno
interesse (o, meglio, sono legittimati) a proporre reclamo contro  il
decreto di chiusura del fallimento non e' ne' assoluta  ne'  tale  da
fornire un esaustivo fondamento razionale alla  previsione  normativa
in questione, giacche' nel novero dei soggetti legittimati a proporre
reclamo contro  il  decreto  di  chiusura  del  fallimento  rientrano
certamente i creditori  che,  prima  del  medesimo  decreto,  abbiano
proposto una domanda di ammissione al  passivo  (non  definitivamente
rigettata e che non siano stati integralmente soddisfatti) ed i ccdd.
creditori  della  massa  o   in   prededuzione   (non   integralmente
soddisfatti) le cui ragioni di credito trovino  titolo  in  incarichi
conferiti  dall'ufficio  fallimentare,   i   quali   possono   essere
agevolmente identificati sulla base degli atti della procedura e  non
si  vede  perche'  mai,  a  causa  della  difficolta',  non  a   loro
addebitabile, di identificare i creditori che  non  si  siano  ancora
fatti avanti, debbano  essere  costretti  a  visitare  con  frequenza
quindicinale  il  tribunale  per  tutta  la  durata  della  procedura
fallimentare onde evitare di veder questa chiusa illegittimamente  in
loro pregiudizio ed a loro insaputa (cfr. Corte  cost.,  27  novembre
1980, n. 151, che, a proposito della previsione dell'art.  18,  comma
1, l.f., che faceva decorrere il  termine  per  proporre  opposizione
avverso  la  sentenza  dichiarativa   del   fallimento   dalla   data
dell'affissione  di  questa  per  estratto  alla porta  esterna   del
tribunale,  afferma  che  «la  inidentificabilita'  ...  degli  altri
interessati, se legittima la scelta del legislatore nei limiti in cui
ricorre la ripetuta inconoscibilita', non somministra utile  supporto
al dettato normativo nell'ipotesi  del  debitore,  talche'  ben  puo'
concludersi che la individuazione  del  dies  a  quo  nell'affissione
dell'estratto della sentenza e', per quel che concerne  l'opposizione
del debitore, priva di razionale fondamento»); 
        2) l'esigenza di un'unitaria e rapida trattazione e decisione
di tutti i  reclami  eventualmente  proposti  contro  il  decreto  di
chiusura del fallimento, oltre a non poter giustificare il vulnus che
la previsione normativa in questione infligge al  diritto  di  difesa
dei soggetti legittimati al reclamo agevolmente identificabili,  puo'
essere adeguatamente assicurata - e contemperata con  il  diritto  di
difesa costituzionalmente garantito di detti soggetti - anche facendo
decorrere  il  termine  per  la  proposizione  del  reclamo   per   i
legittimati a tale impugnazione  non  identificabili  dall'affissione
alla porta esterna del tribunale e per quelli  invece  identificabili
dalla ricezione della  comunicazione  dell'estratto  del  decreto  di
chiusura del fallimento, se si considera che, a norma del comb. disp.
degli art. 17 e 119 1. f., sia l'affissione che la  comunicazione  in
questione devono essere effettuate non  oltre  il  giorno  successivo
alla data del decreto medesimo al fallito; 
        3) la riapertura del fallimento e' possibile nei soli casi in
cui il fallimento sia  stato  chiuso  ai  sensi  dei  numeri  3  e  4
dell'art. 118 l.f. e nel patrimonio del  fallito  esistano  attivita'
tali da renderla utile o il fallito offra garanzia di pagare  il  10%
dei creditori, vecchi e nuovi, e non e' in grado di evitare ai vecchi
creditori non integralmente  soddisfatti  il  concorso  con  i  nuovi
creditori, sicche' non e' idonea a compensare gli svantaggi derivanti
ai  vecchi  creditori  da  un'ingiusta   chiusura   del   fallimento,
soprattutto allorche', come nella specie, questa sia  stata  disposta
ai sensi del n. 2 dell'art. 118 l.f. 
    Ne' potrebbe  contro  queste  considerazioni  obiettarsi  che  il
decreto di chiusura del fallimento deve  essere  comunicato  solo  al
fallito ed al curatore e, dunque, non anche  ai  creditori,  siano  o
meno questi agevolmente identificabili sulla base  degli  atti  della
procedura. 
    Quest'affermazione, invero, benche'  frequente  in  dottrina,  e'
priva di qualsiasi fondamento normativo, giacche' l'art.  119,  comma
1, l. f. si limita  a  stabilire  che  il  decreto  di  chiusura  del
fallimento deve essere "pubblicato nelle forme  prescritte  nell'art.
17", cioe' nelle stesse forme previste per la  sentenza  dichiarativa
del fallimento, e, a sua volta,  l'art.  17  l.  f.  prevede  che  la
sentenza dichiarativa del fallimento sia, per  estratto,  oggetto  di
diverse  formalita'  di  propalazione,  alcune  delle  quali,   cioe'
l'affissione alla  porta  esterna  del  tribunale,  l'iscrizione  nel
registro delle imprese e nel registro dei falliti  e  nel  casellario
giudiziale,  destinate  alla  collettivita'  indifferenziata,  altre,
cioe' la comunicazione, a norma dell'art. 136 del codice di procedura
civile, al debitore, al curatore ed a ciascun creditore richiedente e
la comunicazione  al  pubblico  ministero,  destinate  a  determinati
soggetti, evidentemente scelti dal  legislatore  nell'indeterminabile
novero   di   quelli   interessati   all'apertura   della   procedura
fallimentare non gia'  perche'  legittimali  a  proporre  opposizione
avverso  detta  sentenza,  posto  che  il   curatore,   i   creditori
richiedenti  ed  il   pubblico   ministero   sono   privi   di   tale
legittimazione,  bensi'  in   quanto   gli   unici   agevolmente   ed
immediatamente identificabili. 
    Il che, mutatis mutandis, induce a ritenere  che  il  decreto  di
chiusura del fallimento, in forza del rinvio dell'art. 119, comma  1,
all'art. 17 l. f., debba essere, per estratto: 
        1) affisso alla porta esterna del tribunale; 
        2) comunicato all'ufficio del registro delle imprese ai  fini
della sua iscrizione in tale registro; 
        3)  comunicato  alla  cancelleria  del  tribunale  nella  cui
giurisdizione e' nato il fallito persona fisica o  fu  costituita  la
societa' fallita ai  fini  della  sua  iscrizione  nel  registro  dei
falliti; 
        4) iscritto nel casellario giudiziale; 
        5) comunicato al pubblico ministero; 
        6) comunicato, nelle forme previste dall'art. 136  c.p.c.,  a
tutti  i  soggetti  interessati   alla   chiusura   della   procedura
fallimentare che possono essere agevolmente identificati  sulla  base
degli atti di tale procedura e, dunque, oltre che al curatore  ed  al
fallito,  a  tutti  i  creditori  che,  prima  del  decreto,  abbiano
presentato una domanda di ammissione al passivo  che  non  sia  stata
definitivamente rigettata e non siano stati integralmente soddisfatti
ed a tutti i cedol. creditori  della  massa  o  in  prededuzione  non
integralmente soddisfatti le cui ragioni trovino titolo in  incarichi
conferiti  dall'ufficio  fallimentare  e  che,  pertanto,  non  hanno
bisogno di far valere i  propri  crediti  nelle  forme  di  cui  agli
articoli  92  e   ss.   l.f.   non   essendovi   alcuna   ragionevole
giustificazione  per  escludere  questi  creditori  dal  novero   dei
soggetti cui va inviata detta comunicazione. 
    Insomma, pare a questa Corte che sia rilevante nel caso di specie
- in cui il decreto di chiusura reclamato non risulta esser mai stato
comunicato a norma dell'art. 136 c.p.c. alla reclamante,  che  ne  ha
preso  visione  per  la  prima  volta  il  7  gennaio  2003 -  e  non
manifestamente infondata, con riguardo agli artt. 3 e  24,  comma  2,
Cost., la questione di costituzionalita' dell'art. 119, comma  2,  l.
f., nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni  per
proporre reclamo  avverso  il  decreto  di  chiusura  del  fallimento
decorre, per i soggetti legittimati a tale  impugnazione  agevolmente
identificabili sulla base degli atti  della  procedura  fallimentare,
dalla data dell'affissione alla porta esterna del tribunale, anziche'
dalla data della comunicazione dell'estratto del medesimo decreto che
a tali soggetti deve essere inviata a norma  del  comb.  disp.  degli
articoli 119, comma 2, e 17, comma 1, l.f.: e 136 c.p.c. 
    Gli atti vanno, pertanto, rimessi alla  Corte  costituzionale  ai
fini della risoluzione dell'incidente di costituzionalita'  e,  nelle
more, il presente procedimento va sospeso». 
    2. - Nelle more del  giudizio  incidentale  di  costituzionalita'
promosso da questa Corte, l'art. 119 l.f. e' stato modificato, prima,
dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, entrato in vigore il 16
luglio 2006, e, poi, dal decreto legislativo 12  settembre  2007,  n.
169,  entrato  in  vigore  il  1°  gennaio  2008,  sicche'  la  Corte
costituzionale, con ordinanza n. 303 in data  9/25  luglio  2008,  ha
disposto la restituzione degli atti a questa Corte d'appello ai  fini
di una rivalutazione, alla luce del ius superveniens, non solo  della
persistente rilevanza della questione, ma altresi' della possibilita'
di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   norma
censurata. 
    3.1. -  Senonche',  ad  avviso  di  questa  Corte  d'appello,  la
suindicata questione di costituzionalita'  dell'art.  119,  comma  2,
l.f., nonostante le modifiche apportate a tale articolo  dai  decreti
legislativi numeri 5 del 2006 e 169 del 2007, conserva intatta la sua
rilevanza nel presente giudizio, anche perche'  non  pare  superabile
per via interpretativa. 
    3.2. - Secondo quanto puo' ricavarsi dagli articoli 150 e 153 del
decreto legislativo  n.  5  del  2006  e  dall'art.  22  del  decreto
legislativo n. 169 del 2007, invero, le modifiche apportate  da  tali
decreti legislativi  alla  disciplina  della  procedura  fallimentare
contenuta nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (la c.d. legge fallimentare)
non sono applicabili alle procedure fallimentari aperte prima del  16
luglio 2006,  come  quella  di  specie,  ne',  deve  ritenersi,  alle
relative  procedure  incidentali,  quale  quella  di   chiusura   del
fallimento, regolata dagli articoli da 118 a 120 l.f. 
    Di conseguenza, deve ritenersi che,  nella  specie,  vada  ancora
applicato  l'art.  119,  comma  2,  1.f.  nel  testo  anteriore  alle
modifiche apportatevi dai suindicati decreti legislativi, che  faceva
decorrere il termine per  la  proposizione  del  reclamo  avverso  il
decreto di chiusura del fallimento dalla data dell'affissione di tale
decreto per estratto alla porta esterna del  tribunale  per  tutti  i
soggetti legittimati a tale impugnazione. 
    3.3. - Ne' pare a questa Corte che la questione incidentale  gia'
sollevata con l'ordinanza in data  1°-10  aprile  2003  possa  essere
superata attraverso una lettura costituzionalmente orientata di  tale
previsione normativa, che, come s'e'  detto,  faceva  chiaramente  ed
inequivocamente decorrere il termine per la proposizione del  reclamo
avverso  il  decreto  di   chiusura   del   fallimento   dalla   data
dell'affissione di tale decreto per estratto alla porta  esterna  del
tribunale per tutti i soggetti legittimati  a  tale  impugnazione  e,
dunque,  anche  per   quelli,   come   la   reclamante,   agevolmente
identificabili sulla base degli atti della procedura fallimentare. 
    4. - Insomma, pare a questa Corte che sia tuttora  rilevante  nel
caso di specie - in cui il decreto di chiusura reclamato non  risulta
esser  mai  stato  comunicato  a  norma  dell'art.  136  c.p.c.  alla
reclamante, che ne ha preso visione per la prima volta il  7  gennaio
2003 - e non manifestamente infondata, con riguardo agli articoli 3 e
24, comma 2, Cost., la questione di costituzionalita' dell'art.  119,
comma 2, 1.f., nel testo anteriore  alle  modifiche  apportatevi  dal
decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, e dal  decreto  legislativo
12 settembre 2007, n. 169, nella parte in cui prevede che il  termine
di quindici  giorni  per  proporre  reclamo  avverso  il  decreto  di
chiusura del fallimento decorre, anche per i soggetti  legittimati  a
tale impugnazione agevolmente identificabili sulla  base  degli  atti
della procedura fallimentare, dalla data dell'affissione  alla  porta
esterna  del  tribunale,  anziche'  dalla  data  della  comunicazione
dell'estratto del medesimo decreto che a tali  soggetti  deve  essere
inviata a norma del comb. disp. degli articoli 119, comma  2,  e  17,
comma 1, 1.f. (sempre nel testo anteriore alle modifiche  apportatevi
dai suindicati decreti legislativi) e 136 c.p.c. 
    Gli  atti  vanno,  pertanto,  nuovamente   rimessi   alla   Corte
costituzionale   ai   fini   della   decisione   dell'incidente    di
costituzionalita'  sollevato  e,  nelle  more,  il  procedimento   va
nuovamente sospeso.